Mirko Von Rommen è un velista che nel 2001, nel bel mezzo di una traversata atlantica, ebbe la disavventura di perdere la pala del timone. Va detto che questo evento non è poi raro come si potrebbe pensare: le cronache recenti riferiscono di altre imbarcazioni che hanno subito la stessa sorte.

Penso sia utile precisare che non sto parlando di rotture della pala a causa di un urto o in seguito ad un attacco da parte delle orche, come sta accadendo con frequenza preoccupante al largo del Portogallo. Mi riferisco invece al distacco della pala del timone per usura o difettosità non riscontrate.

Quali sono le cause? Premesso che ogni evento è particolare e dovrebbe essere analizzato attentamente, è indubbio che le barche più recenti (diciamo quelle con meno di vent’anni) sono costruite sulla base di progetti che prevedono pale del timone “appese”, per loro natura maggiormente esposte al pericolo di subire danni o rotture.

Un tempo la pala era incernierata su uno skeg (a sua volta solidale con la chiglia) che ne limitava la flessione laterale sotto sforzo e che “collaborava” con l’asse del timone per tenere la pala stessa in posizione corretta. Nei casi più “raffinati” la parte inferiore della pala, che sporgeva dallo skeg, presentava un assottigliamento dello spessore per determinare (in caso di urto contro  uno scoglio o altro) una linea di rottura controllata che garantisse, in ogni caso, una residuale efficienza del timone.

Come mai non si usa più lo skeg? Il motivo principale va ricercato nella continua ricerca di efficienza da parte  dei progettisti. In parole povere la presenza dello skeg a pruavia della pala deviava il flusso idrodinamico, il timone rispondeva con meno prontezza e la barca diventava meno manovriera. Con un po’ di malizia aggiungo che con la pala “appesa” il processo produttivo è più semplice, quindi meno costoso.

La pala appesa è più esposta al rischio di sfilarsi dall’asse del timone, soprattutto in presenza di forti sollecitazioni dovute allo stato del mare, allo sbandamento della barca e quant’altro. Diventa quindi di fondamentale importanza la manutenzione, con verifica preventiva di tutte le parti coinvolte (cuscinetti, boccole, perni in acciaio etc.) con relativa sostituzione (quando serve). Se la rotazione della pala non è regolare, se governando si avverte qualche scatto, fruscio o cigolio sospetto, se la losca ha un gioco eccessivo, tutto il timone deve essere smontato, controllato e revisionato.

Tornando a Mirko Von Rommen come ha fatto a completare la traversata oceanica senza timone? Come lui stesso ha scritto “si è ricordato di come navigavano i Vichinghi”: ha preso il tangone e lo ha fissato in qualche modo allo specchio di poppa in modo che una parte fosse immersa nell’acqua. Ho poi improvvisato due bracci in tessile che, partendo dall’estremità  del tangone, arrivassero  ai due verricelli normalmente utilizzati per le scotte dello spi. La parte immersa del tangone, pur non avendo una forma particolarmente adatta, gli ha comunque consentito di governare, mantenendo la barca in rotta.

Fine dell’avventura! All’arrivo a Santa Lucia (Caraibi), dopo circa 1.500 miglia di navigazione senza timone, barca ed equipaggio ebbero la gradita sorpresa di trovare un vero e proprio Comitato di Accoglienza per festeggiare lo scampato pericolo e la felice conclusione della loro “piccola” impresa…della quale avrebbero fatto volentieri a meno.

Buon Vento!

Mirco Mascotto