Il 27 Agosto 1966 Sir Francis Chichester salpò da Plymouth (Inghilterra) per affrontare il giro del mondo a vela in solitario, a bordo di Gipsy Moth 4, un ketch di 16 metri progettato dal duo Illingworth-Primrose e costruito dal prestigioso cantiere Camper e Nicholson.
E’ stato definito il “viaggio del secolo” e su questa impresa, cha valse Chichester il titolo di Baronetto di Sua Maestà, sono stati scritti decine di articoli e libri, uno direttamente ad opera dal protagonista.
La pagine che ricordo in modo vivido sono quelle nelle quali l’autore racconta di quando, tra Australia e Nuova Zelanda, per ben due volte il Gipsy venne rovesciato da onde altissime, rimase con gli alberi rivolti verso il fondo del mare per alcune decine di secondi, per poi essere raddrizzato da un’altra onda enorme sopraggiunta nel frattempo. La cosa straordinaria è che la barca non subì danni particolari ed in entrambi i casi fu in grado di riprendere la rotta. Lo skipper riportò qualche ferita non particolarmente grave e, dopo aver messo ordine sottocoperta (dove niente era rimasto al proprio posto), tornò in pozzetto per continuare la propria straordinaria navigazione; niente male per un “vecchietto” di 66 anni!.
Ovviamente, oltre alle ammirate considerazioni di ordine anagrafico, la cosa che più mi aveva colpito era la capacità di Gipsy Moth di raddrizzarsi dopo una “scuffia” di 180° e questo per ben due volte! Certo, una discreta dose di fortuna ha contribuito, ma la vera ragione di questo comportamento non è da attribuire alla sola buona sorte ed è da ricondurre ad alcune specifiche che caratterizzavano quegli scafi e – più in generale – le barche di quegli anni e le linee progettuali comuni a tanti architetti navali tra i quali spiccano Sparkmann & Stephens di Newport (Usa).
Dopo la tragedia della Fastnet Race del 13 Agosto 1979 (tredici anni dopo l’impresa di Chichester), con 15 velisti e 3 soccorritori morti, 63 imbarcazioni gravemente danneggiate o rovesciate, 24 barche abbandonate in mare e cinque affondate, 194 barche ritirate e solo 86 arrivate al traguardo e l’intera flotta in regata investita da onde alte anche venti metri, furono avviate alcune inchieste indipendenti per cercare di comprendere le cause del disastro, al fine anche di evitare che potesse ripetersi in altre regate oceaniche.
Sul banco degli imputati innanzitutto gli esperti di meteorologia che avevano previsto una lieve depressione a 1012 hpa quando, in effetti, la pressione crollò in poche ore a 979 hpa, con venti di oltre 70 nodi. Oggi, probabilmente, una simile sottovalutazione non sarebbe possibile anche grazie alle nuove tecnologie che consentono un monitoraggio più completo delle caratteristiche fisiche delle masse d’aria, dei loro movimenti e delle loro interazioni.
Una seconda commissione formata da architetti e progettisti navali prese in esame le caratteristiche progettuali e costruttive delle imbarcazioni che soccombettero al maltempo. Nel corso della regata del Fastnet furono ben 63 le barche a vela che subirono un ribaltamento con un angolo superiore ai 90° e molte di loro non si raddrizzarono rapidamente o non si raddrizzarono affatto con le tragiche conseguenze che conosciamo.
Analizzando i progetti delle imbarcazioni di nuova generazione, fortemente influenzati dalle regole di stazza introdotte dallo IOR (International Offshore Rule), emersero delle soluzioni e delle tendenze progettuali che accumunavano quasi tutte le barche che subirono i danni maggiori… (segue)
Buon Vento!
Mirco Mascotto
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