… e la radio di bordo è  una sfera di cristallo, dice che il vento si farà  lupo, che il mare si farà  sciacallo.

da “Il naufragio della London Venture” di Fabrizio  De André.

Già, si fa presto a dire uragano, altra cosa è invece vedere con i propri occhi ciò che sa scatenare madre natura.

17 settembre 2020 h. 10, Furia è  alla ruota in Ormos Ozias (porto Spuzzo), isola di Paxos dove siamo arrivati dopo aver lasciato su Antipaxos un ancoraggio divenuto insostenibile. Qualcosa  ci ha traditi nelle previsioni di “Meteo Consult Marine” e ora mi appresto a perfezionare l’ancoraggio di questa notte fatto dopo un trasferimento con mare grosso.

Un gommone arriva veloce sottobordo. Con fare concitato mi avvisano che una “very big storm’ è in rapido  avvicinamento da W. Mi pregano di accostare di poppa alla banchina della taverna, proprio in mezzo ad una flottiglia charter e di dare fondo alla seconda ancora. Mi dicono che se non l’avessi mi possono fornire loro un grosso grappino con relativo cavo, in ogni caso mi daranno assistenza  col gommone per affondare la seconda ancora.    

Ringrazio e preparo in coperta la Danforth con relativo calumo. Dato che ora anche Meteo Consult conferma che in banchina avrò un violento libeccio sul muso, agguanto per bene la Bruce di posta e filo 70 metri di catena da 8 mm su un fondale di 5 m scarsi di fango. Poi affido la Danforth al gommone che ovviamente l’affonderà incrociandola alle altre (non per niente la taverna si chiama Porto Carnayo).

A terra apprendiamo increduli che un uragano sta per investire le isole Ionie… per essere più precisi un MEDCANE (MEDiterranean hurriCANE) come, con gusto tipicamente anglosassone, sono stati battezzati questi nuovi fenomeni. Nel primissimo pomeriggio il vento rinforza alla grande. Non nutro alcun dubbio sulla Bruce che non mi ha mai deluso, assistita da un congruo calumo e da tre anelli tra la girella e la cicala, ha sempre rappresentato una garanzia tanto che giudico addirittura superflua la Danforth.

Sono tranquillo anche per i charteristi in flottiglia con i quali condivido giocoforza il destino della barca. So  quanto siano superficiali negli ancoraggi, ma i greci hanno fatto un un ottimo lavoro con i loro pesanti grappini. La baia poi è  completamente ridossata, non fosse per il ruggito del mare e gli alti spruzzi tra Mogonisi e Paxos sembra di stare in un laghetto alpino.

Così lasciamo la barca e raggiungiamo la scogliera sopravvento dove lo spettacolo è  grandioso. La notte, sotto una pioggia torrenziale, il vento ruota rapidamente in senso antiorario e al mattino diventa grecale attenuandosi. Il peggio è passato ed ora solo una fastidiosa maretta di rimbalzo entra in baia. È tutto qui l’uragano Ianos? Mi viene allora da pensare ad esperienze ben più drammatiche vissute in passato e anche se Roberto, che è ad Argostoli, non risponde ai miei messaggi continuo a non rendermi conto di cosa è effettivamente successo. Comunque per prudenza rimando la partenza  disertando l’appuntamento del 18 a Preveza, da anni ormai penso che il posto migliore dove smaltire una burrasca sia il bar.

Solo ora, con il senno di poi, mi rendo conto di quanto ero incosciente del rischio corso a Paxos e di come, per l’ennesima volta, siamo stati baciati da una fortuna sfacciata. Una fortuna concretizzatasi in due mosse vincenti e cioè; un rapido incremento della velocità di traslazione del vortice e la contemporanea deviazione di traiettoria verso SE, naturalmente una fortuna che qualcun altro pagherà  a caro prezzo. Ci siamo in pratica ritrovati nel ‘semicerchio maneggevole’ dell’uragano, reso appunto ancora più maneggevole  dalla sua incrementata velocità di traslazione. Le cose sono andate assai diversamente a S di Itaca da dove finalmente si fa vivo Roberto che, anche se con un equipaggio ben più robusto del mio, s’è  trovato a gestire un un ormeggio in pieno ‘semicerchio pericoloso ‘. Come abbia fatto a rimanere a galla ancora non me lo spiego… chapeau a Roberto!

Nei giorni successivi, dopo avere imbarcato a Preveza Annalisa e Franco metto la prua a  S e il giorno  22 sono a Vathi. L’isola di Itaca non era esattamente nel semicerchio pericoloso, ciononostante inizio a vedere i primi disastri. Una barca che aveva deciso  di affrontare l’uragano in una baia ridossata dai quadranti meridionali è  ora sugli scogli,  un’altra che era ormeggiata di poppa con poco calumo ha aperto la poppa contro la banchina ed è andata giù come un sasso.

Il mio vicino, un tedesco avanti con gli anni che naviga in solitario su una barchetta di 9 metri, mi racconta la sua esperienza. Era qui quand’é arrivato Ianos. Lo ha aspettato con la poppa al vento in banchina e 40 metri di calumo su 3 e mezzo di fondale. Non appena il vento ha iniziato a ruotare ha mollato a poppa e s’è lasciato trascinare in mezzo alla baia dove ha ridato fondo con tutto il calumo disponibile e un’altra ancora appennellata a quella di posta. Con il motore che spingeva forte é rimasto  10 ore al timone per assistere le ancore e limitare il brandeggio … chapeau all’amico di Brema.

Fin qui continuo ad illudermi che con idee chiare e fare deciso si possa tener testa ad un Uragano. Niente di più sbagliato e me ne renderò conto solo navigando ancora più a S.

Nel frattempo anche Roberto è arrivato ad Itaca e ha dato fondo accanto a Furia, così ci racconta ciò che ha passato ad Argostoli. Ascoltiamo di barche trafitte dal proprio invaso prima di venire scaraventate a terra oppure in mare, di un Najad alla ruota che ha resistito per ore con il motore a manetta prima di finire sbriciolato sul frangiflutti.

Roberto era all’inglese con il molo sottovento nel marina di Argostoli mai terminato. Hanno fatto in tempo a mettere in forza dei cavi sopravvento collegati al molo di fronte per alleggerire la pressione sulla murata, poi hanno lavorato incessantemente per dodici ore frapponendo tutto ciò che trovavano tra la falchetta, oramai in acqua per lo sbandamento, e il molo.

Ancora non riesce  a crederci di essersela cavata con un paio di graffi sulla fiancata. Mi dice che non sono nemmeno riusciti a chiudere la porta del tambucio per il vento, pare impossibile ma chi di voi in piedi sul cofano di un’automobile a 190 kmh riuscirebbe a maneggiare la porta di un tambucio?

Il mattino successivo salutiamo Roberto che rientra a Bari mentre noi proseguiamo su Cefalonia ed è ad Aghia Eufimia che vediamo il “kataklysmòs”,  come dicono i greci. Tettoie scoperchiate e abitazioni coperte dal fango, taverne e bar distrutti. Visi sporchi e dignitosi di chi ancora si oppone alla melma.

Il porto è  punteggiato  da alberi e sartie che escono dall’acqua, sembra bombardato, le barche ormeggiate hanno divelto le banchine prima di affondare. Se ne è salvata solo una, un magnifico Oyster armato a ketch  che prima di salire di poppa sulla propria banchina ha piantato nel fondo del porto maestra e mezzana dalla parte della formaggetta, come sia successo non l’ho proprio  capito, così ora gli alberi rovesci mostrano sinistramente i boma sopra l’acqua melmosa.

La barca, che ancora galleggia poco più in là, ha completamente  perso la poppa, l’anca di dritta e la coperta del giardinetto. Sbirciando nella cabina sventrata vedo che l’equipaggio ne ha sprangato la porta sigillandola con la schiuma, così  non sono affondati ma dubito che l’Oyster sia recuperabile.

Dicono che questi fenomeni malvagi siano destinati a ripetersi anche nel “mare nostrum”. Non so se i cambiamenti climatici siano causati dalle attività umane e non so quanti di noi sarebbero disposti per porvi rimedio a rinunciare  alle ben note “facilities” (automobile, aria condizionata, telefonini ecc) a basso prezzo.

Di una cosa però sono certo, se incapperó ancora in un maledetto “medcane” farò certamente di tutto per preparare al meglio la barca salvo poi cercare rifugio nell’entroterra perché nessuna barca vale una vita umana.

Gigi Baroni


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