Martedì 5 giugno 2018
La vista dal nostro ancoraggio è da cartolina: siamo davanti ad una piccola pass, non navigabile, che divide due verdissime isolette, Yakamaka e Fouquet. Le rispettive spiagge, in bassa marea, quasi si toccano, mentre più avanti, sullo sfondo, l’oceano ruggisce frangendo sul reef. I colori dell’acqua sfumano dal blu intenso sotto la nostra barca, al turchese un po’ più avanti verso terra, fino al verde chiaro in prossimità del bagnasciuga.

CHAGOS 1
L’amico Fabio di Amandla, che ci ha preceduto di qualche giorno qui a Salomon Islands, ci fornisce le prime utili informazioni: il miglior sito per lo snorkeling, dove trovare i granchi del cocco, la presenza nell’isoletta di Boddam, nella parte SW dell’atollo, di una sorgente di acqua semi-dolce (per chi ha bisogno di fare il bucato e non ha- come noi – la fortuna di avere a bordo una vera lavatrice).

Per radio VHF viene annunciato un aperitivo sulla spiaggia, alle 17.30; è l’occasione per scambiare quattro chiacchiere coi naviganti che già conosciamo (Paul di Newdawn, Jeff di Grasshopper, e naturalmente Fabio, Liza e Lucio di Amandla) e conoscere gli altri. Ovviamente tutti parlano inglese ed io mi sento un po’ handicappato; qualche comunicazione basica come le presentazioni, da dove vieni, dove vai ecc. riesco a metterla insieme, poi mi rivolgo soprattutto a Fabio e Lucio, con cui palare è “much easier”, molto più facile.

Due barche sono in partenza l’indomani, una diretta a Rodriguez, l’altra in Madagascar; ci si saluta con baci e abbracci ma è solo un arrivederci, perché sappiamo che prima o poi ci si incontrerà di nuovo.
Fabio ci parla dei granchi del cocco, che qui sono tantissimi, e che noi pure abbiamo già visto (ed assaggiato) alle Tuamotu e a Mopelia, in Polinesia. Le loro tane sono facilmente individuabili: buchi con diametro di 20-30 centimetri, alla base di una palma, con vicino una provvista di cocchi. La tecnica di cattura è la seguente: una volta avvistato il granchio all’interno della tana, bisogna trovare il modo di farlo uscire e poi ucciderlo, affondandogli il coltello nella testa. Poi si provvede all’amputazione di chele e zampe, uniche parti commestibili. Per la cottura bisogna bollire le chele 16 minuti e le zampe 12; dopo di che si procede alla rimozione della corazza (a suon di mazza).

Si mangia così, tiepido o freddo, aggiungendo solo, per chi lo desidera, un po’ di burro fuso (non soffritto): in quanto a delicatezza di gusto, il granchio compete alla grande con l’aragosta. Roba da far venire l’acquolina in bocca… peccato che qui la caccia al granchio del cocco sia assolutamente proibita e noi, come si sa, siamo troooppo ligi alle regole…
Un’altra cosa che ci affascina particolarmente alle Chagos sono gli uccelli, numerosi e di diverse specie. Quelli neri usano appostarsi ogni giorno e alle stesse ore (al mattino e verso sera) sulle prue delle barche: dalla battagliola osservano nell’acqua i “pasti” dei pesci più grandi alle spese di quelli piccoli, e appena il momento è favorevole intervengono lanciandosi a razzo per unirsi al banchetto. Non sono per nulla intimiditi dalla presenza umana, si lasciano avvicinare finché si arriva quasi ad accarezzarli.

Altri bellissimi uccelli bianchi con il becco azzurro, simili alla “cagarra” delle Isole Selvagem in Atlantico, li vediamo all’isola Mapou, nella parte nord dell’atollo. Gli alberi vicino alla spiaggia sono pieni dei loro nidi, ed anche qui si riesce ad avvicinarsi fino a scorgere i piccoli, senza che ciò allarmi gli esemplari adulti nei paraggi. Approfittiamo per fare anche un po’ di snorkeling: bei coralli, in migliore salute rispetto a quelli visti alle Maldive, e pesci in quantità.

Il 25 maggio arriva la “patrol ship”, la nave che pattuglia il parco; ancora fuori dell’atollo e cala un grosso gommone cabinato, che attraversa la pass e raggiunge l’ancoraggio. Ci sono quattro persone a bordo, due ufficiali addetti ai controlli e due marinai; hanno già l’elenco delle barche autorizzate ed accostano solo le nuove arrivate. Quando tocca a noi i due ufficiali (o meglio, un ufficiale ed un’ufficiala) salgono a bordo, controllano il nostro permesso e i documenti di Refola, timbrano i nostri passaporti e ci consegnano la clearance di uscita, raccomandandoci il massimo rispetto della natura e lasciandoci un piccolo dépliant, “Advice for vessel in transit”. Sono formali ma molto gentili; interrogati da Lilli sulla loro vita in questo remoto arcipelago, ci dicono che in realtà loro vivono a bordo della nave e si recano nell’unico posto abitato, Diego Garcia, solo per i rifornimenti. Il loro “turno” di lavoro dura tre mesi, poi arriva il cambio e tornano in Inghilterra. La lunghezza della permanenza sembra non turbarli affatto, anzi entrambi, ma soprattutto la giovane donna, appaiono appassionati e contenti della loro occupazione. E come dar loro torto?

Dopo di noi tocca ad Amandla e qui, come purtroppo era prevedibile, le cose non filano lisce. Cosa è successo? Richiedendo via e-mail, come pure noi abbiamo fatto, l’anticipazione della data di arrivo sul permesso che aveva già ottenuto, Fabio ha commesso un banale errore: voleva dire “arrivo il 18 maggio” e invece ha scritto “18 giugno”. Quando nel giro di poche ore gli è arrivata da Londra la risposta, del tutto ignaro dell’errore non ha verificato le date sul nuovo permesso. Se n’è accorto solo il giorno prima che arrivasse la nave e qui, forse un po’ ingenuamente, ha sottovalutato la puntigliosità dell’amministrazione B.I.O.T.

Purtroppo non c’è stato nulla da fare: gli ufficiali, seppure rammaricati, gli intimano di lasciare l’ancoraggio entro le 16.00. Lui chiede una proroga, vuole tentare di trovare una soluzione telefonando a Londra col satellitare. Ma anche l’ufficio di Londra si rivela inflessibile: gli viene concesso di passare un’ultima notte alle Chagos, ma il mattino dopo dovrà salpare, e la nave rimarrà in zona per assicurarsi della sua partenza.

La mattina dopo, con la nave già schierata alla pass, Fabio, Liza e Lucio lasciano l’ancoraggio, accompagnati dai saluti e dalle trombe di tutte le altre barche. Tutti gli equipaggi sono dispiaciutissimi, ed io un pochino di più, perché ho perso le uniche due persone (a parte Lilli) con cui potevo parlare italiano….

CHAGOS – il villaggio dei navigatori
La nostra sosta a Salomon Islands, Chagos, si protrae dal 21 maggio al 10 giugno; non siamo abituati a stare fermi tanto tempo nello stesso posto, per noi è una sensazione nuova, a cui peraltro non fatichiamo ad adeguarci: si coltivano amicizie, non c’è mai fretta, c’è tempo per tutto, l’orologio non serve, il sole più di sempre scandisce le attività della giornata. Siamo in un luogo completamente isolato, disabitato se non da pesci e uccelli, senza villaggi, senza elettricità, senza connessioni; ma in realtà un villaggio c’è, ed è costituito dagli equipaggi delle barche in transito: quasi tutti si fermano un mese, ed è normale che in situazioni del genere, ancorati a pochi metri uno dall’altro, si venga a creare una vera e propria comunità. La radio VHF è sempre accesa, e si usa come il telefono di casa. “Noi andiamo a fare snorkeling nella pass, chi vuole venire?” “Che ne dite di un drink sulla spiaggia questa sera alle 5?” In una giornata di pioggia, per fortuna l’unica, Leslie di Paseafique ha addirittura coinvolto tutti, via VHF, nella soluzione di un cruciverba!

Poi ci sono le occasioni speciali. Il 29 maggio il Full Moon Party, festa sulla spiaggia per salutare la luna piena: ci si ritrova verso le 17.30, si comincia a preparare un grande fuoco per quando – presto – arriverà il buio. Tutti portano qualcosa da mangiare, pasta, riso, bocconcini vari, pesce al cartoccio, frittata. C’è ampia scelta ed abbondanza, si può assaggiare un po’ di tutto. Per le bevande l’uso è generalmente più personale, ma Niels e Margareth di Unwind hanno preparato due litri di pinacolada per tutti, servita con ghiaccio, noi abbiamo portato una bottiglia di Valpolicella. Illuminato dalla luna, lo scenario che ci circonda è ancora più affascinante. Il tempo trascorre velocemente e alle 22 Lilli ed io siamo fra i primi a rientrare in barca.

È strano, all’inizio del nostro viaggio ci sembrava che tutti fossero più anziani e con più esperienza di noi, mentre ora ci rendiamo conto di essere tra le persone più vecchie e con più miglia sulle spalle … Ma questo ovviamente non ci impedisce di goderci la festa; oltretutto le due casseruole di pizza che abbiamo portato hanno avuto grande successo e sono state molto apprezzata da tutti.

Un altro modo per passare il tempo è pescare, semplicemente calando il filo dalla barca ferma. Paul di Newdawn, che in questo modo aveva preso un paio di grossi pesci, mi ha dato alcuni piccoli pezzi di pesce da usare come esca. Li ho messi nel freezer e quando ho iniziato ad utilizzarli il risultato è stato stupefacente: neanche il tempo di calare in acqua l’amo ricoperto e una decina di metri di filo, che subito il sibilo del mulinello segnala la presa. Ci vuole quasi più tempo a liberare l’amo e a preparare la nuova esca, che non a tirar su la preda successiva. In breve arrivano in coperta quattro pescioni, di cui uno di dimensioni tali da saziare almeno 4-5 persone.

Ma col passare dei giorni, dopo aver tirato su in mattinata un bello snapper sui 5 kg., mi rendo conto che le prese sono ora tutte di grossa taglia, talmente grandi da non riuscire ad issarle a bordo: diverse volte hanno strappato tutto o addirittura storto l’amo. Rimango inizialmente un po’ perplesso, ma poi mi spiego l’arcano. Pulito il pescato, usavo gettare in acqua teste ed interiora e questo ha richiamato gli squali. Uno di questi, di piccole dimensioni, ha addentato la mia esca arrivando fino a pelo d’acqua, per poi mollare la presa. A questo punto ho smesso di pescare, ma gli squali hanno continuato per giorni a girare numerosi intorno alla barca. Ho visto anche un “lemon” (di taglia più grossa dei “pinna nera”) che si aggirava minaccioso come fa un leone nel suo territorio.

Tra il primo e il 3 maggio sono arrivate altre sei barche, di cui tre già incontrate e conosciute in precedenza alle Maldive. Tra i nuovi arrivati ci colpisce particolarmente Dustin, un americano che naviga in solitario nonostante abbia il solo braccio destro ed una protesi alla gamba sinistra. Dustin è giovane, sui 35-40 anni, simpatico, sorridente, per nulla imbarazzato del suo handicap. Ce ne aveva parlato anche Fabio di Amandla, che lo aveva incontrato a Gan (Sri Lanka); lo vediamo salire in testa d’albero, appeso al banzico con le gambe (una vera e una finta) che abbracciavano l’albero, e trafficare con il solo braccio destro sulla luce di fonda e sull’antenna VHF. Sapendo per esperienza quanto è disagevole lavorare lassù, resto ammirato di fronte all’energia e alle capacità di Dustin, davvero incredibili.

Il 3 maggio la nuova “scusa” per il party serale sulla spiaggia è la partenza di due barche: Unwind diretta a Rodriguez e Axiom diretta in Madagascar. Baci e abbracci come fossimo vecchi amici, anche se ci conosciamo da appena una settimana. Le partenze, che di solito avvengono al mattino, sono sempre emozionanti: squilli di tromba, fischi, campane, lancio di fuochi scaduti. E poi ancora gli ultimi saluti via VHF.

Un giorno poco ventoso, con l’acqua della laguna quasi piatta, Lilli ed io facciamo col dinghy un’escursione di circa 3 miglia e mezzo fino all’isola di Boddam, nella parte SW dell’atollo. È l’isola più grande e fino agli inizi degli anni ‘70, prima della vera e propria deportazione che hanno subito i chagossiani, vi abitavano circa 500 persone (ci ripromettiamo di approfondire, in un futuro blog, la tormentata storia di questo remoto arcipelago). Troviamo infatti i resti di un molo, di una chiesa e di abitazioni in pietra, ormai quasi sommersi dalla vegetazione.

I naviganti in transito hanno allestito in un rudere vicino al molo una parodia di “Yacht Club”: sul muro esterno un finto radiotelefono, scritte di benvenuto, addirittura un finto ATM, con tastiera e monitor in cartone; all’interno, bandiere e l’immancabile “Log Book” dove ogni barca scrive qualche riga, lasciando biglietti da visita, foto e disegni. Un rito a cui anche noi, ovviamente, non ci sottraiamo. Purtroppo l’isola è infestata da zanzare e moscerini. Dopo un breve giretto Lilli, esasperata, torna alla spiaggia e si butta in acqua.

La raggiungo velocemente e facciamo un po’ di snorkeling nella baia antistante il vecchio villaggio, dove ci sono tre boe fissate ai coralli con grossi cimoni. Ancorare qui con la barca sarebbe alquanto complicato: non solo ci sono estesi banchi di corallo quasi affioranti, ma anche nelle acque libere il fondale non è sabbioso ma disseminato di coralli, con grosse patate che si alzano anche notevolmente; il consiglio della guida, per chi voglia fermarsi qui, è di crearsi il proprio mooring, usando qualche metro di catena fissata direttamente sul corallo.

Ogni giorno, alle 13 e alle 2.00 UTC, seguiamo sulla radio SSB il net inglese dell’Oceano Indiano; noi riusciamo a sentire discretamente quasi tutti (anche se la comprensione dell’inglese per radio non è facile nemmeno per Lilli), ma purtroppo nessuno, tranne le barche ancorate vicino a noi, sente le nostre chiamate. Faccio qualche tentativo cambiando l’antenna a stilo con il paterazzo isolato, ma sostanzialmente non c’è differenza. Circa due mesi fa abbiamo parlato con Giorgio e Tonino in Sudafrica, nonché coi radioamatori in Italia; cosa può essere successo? Molto gentilmente, Phil di Paseafique passa due intere mattine a bordo di Refola per aiutarmi a risolvere il problema: abbiamo rifatto alcuni collegamenti tra antenne e accordatore e lavorato sull’alimentazione della radio.

Abbiamo ottenuto un miglioramento della ricezione, ma purtroppo la trasmissione è sempre deficitaria: le barche partite dalle Chagos, già a 50 miglia di distanza, non ci sentono più. Phil mi ha fatto notare che quando si va in trasmissione ci dovrebbe essere un notevole assorbimento di corrente, che da me non si verifica. Allora il problema potrebbe essere nella radio, non nelle antenne … mah, continueremo i test.

Ormai si avvicina la nostra partenza: mancano pochi giorni all’11 giugno, quando scade il nostro permesso alle Chagos. È ora di tenere sotto controllo le previsioni meteo e di prepararci a riprendere il mare. Ci attende una traversata di poco più di mille miglia, fino alle Seychelles. Sulla carta è un trasferimento facile, in cui il “pericolo” è rimanere senza vento e con poco gasolio. Ma in questa fase dell’anno gli alisei di SE dovrebbero essere stabili, e dovrebbe essere improbabile rimanere “a piedi”.

Il 9-10 giugno sembra aprirsi una buona finestra meteo: dopo alcuni giorni di venti leggeri da sud e da SW, riprende il SE. È deciso: partiremo domenica 10. Il sabato sera, una coppia di canadesi invita tutti gli equipaggi a bordo del loro catamarano Tula 2, per aperitivo e cena. Noi dobbiamo ancora tirare su il motore fuoribordo e posizionare il dinghy in coperta, e pertanto malvolentieri decliniamo l’invito; ci dispiace ancor più perché due giorni fa, a bordo di Anthem, sono arrivati l’australiano Adrien e la vicentina Marianna, una ragazza simpatica che ha anche il grande pregio di parlare italiano!
La mattina del 10, prima di noi, salpa Newdawn: Paul ha cambiato itinerario rispetto a quello originario che lo avrebbe portato a Rodriguez; per problemi di salute che speriamo non gravi ora è diretto a Mayotte, dove ha preso contatti con una clinica.

I soliti saluti, poi è il nostro turno: tra gli squilli di tromba dirigiamo la prua sulla pass di uscita. Il cielo è sereno, c’è un bel sole ed un vento da SE, sui 16 nodi. Partenza perfetta!