Chi andrà in crociera-scuola a Maggio e troverà notti serene sarà privilegiato. Si accorgerà di trovarsi sotto una cappa di stelle. Quante? Tante! Quali?
Chi possiede un sideroplanisfero (due dischi concentrici di cui uno mobile, erroneamente chiamato astrolabio da alcuni autori) lo potrà anche sapere, ma la cosa assumerebbe il sapore della didattica scolastica, scarna di riferimenti, se non vogliamo condire il tutto con una rete fitta di allineamenti tanto cari e utili a chi per mare ci va con passione ed interessamento.
Osservando a Sud, verso la mezzanotte (avremo l’ora estiva) vedranno una stella alta nel cielo, che ben si distinguerà da tutte le altre: è la più luminosa dell’emisfero boreale. E’ la stella a cui spesso si rivolgeva Giuseppe Garibaldi e si chiama ARTURO, la stella “alfa” (la più lumonosa) della costellazione di Boote. Il suo asterismo ha la confermazione di una carota.
Bo-ote in sumero significa “colui che guida il grande carro” ed in greco “bous” (bue) e kolos (spingere). Colui che spinge i buoi, cioè mandriano.
I latini trasformarono il nome in “bubulcus”, vale a dire “bifolco”.
Boote è anche nome proprio con riferimento alla professione che esercita (nome ergonomàico). Infatti Boote è il figlio di Giasone (l’inventore dell’aratro) e di Demetra-Cerere (la dea delle messi). Lui coltiva i campi. Non c’è che dire: è un bravo figliolo che lavora in famiglia completando il ciclo produttivo dei genitori!
Ma perché ARTURO? Un nome tutto italiano quando ben sappiamo che le stelle portano nomi arabi, greci e con etimologie arcaiche? ARTURO, così riportato da tutti gli almanacchi stellari, non è una persona. Deriva dal greco “arctos-oura”, forma la coda dell’Orsa Maggiore e gli antichi naviganti italiani ne hanno storpiato il nome facilitandone la dizione.
Di sicuro Giuseppe Garibaldi, quando si ritirò in esilio spontaneo, era immedesimato nel valore della sua stella preferita. Portò con sé mezzo sacco di sementi e si mise a fare l’agricoltore in proprio.
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