A qualcuno non piace, la considera persino pericolosa, proponendo l’immagine di un boma che, durante un’abbattuta o una strambata, passa violentemente da un lato all’altro spazzando la coperta e travolgendo tutto quello che trova sulla sua strada, ivi comprese le teste di qualche velista distratto.

Ernesto Tross, velista e progettista “controcorrente” (scrisse anche un libro così intitolato), realizzò un paio di barche senza la randa, con l’albero che aveva la sola funzione di sostenere sartie e stralli ai quali venivano ingarrocciate vele senza boma che, a tutti gli effetti, erano fiocchi (o genoa). Le sue barche erano “estreme” e a mio parere (ne ho vista una in marina in Toscana) decisamente brutte, con buona pace del povero Tross che, nel frattempo, è passato a miglior vita.

L’evoluzione progettuale sta andando da tutt’altra parte: la superficie delle vele di prua diminuisce e molte barche di ultima generazione propongono addirittura il fiocco autovirante. Invece le rande sono sempre più grandi. Nei primi anni ottanta su cento metri di tela il 65% era a prua e soltanto il 35% era costituito dalla randa. Oggi è il contrario ed anzi, nei progetti più “spinti”, la randa rappresenta il 70% della superficie velica totale. Le cause sono varie, ma il l’esigenza imperante dell’easy sailing pesa non poco .

Del resto, se gli inglesi chiamano la randa Main Sail ed i francesi Grand Voile qualche motivo ci sarà! In fondo, anche sulle barche più estreme come Luna Rossa, la randa (anzi la doppia randa)  ha ancora un  ruolo da protagonista e, per il momento, quasi nessuno sembra orientato a decretarne il pensionamento anticipato.

Per tutte queste ragioni ritengo della massima importanza parlare diffusamente di questa vela, di come è fatta, di quali materiali vengono utilizzati per costruirla, di come si regola per ottenere il massimo delle prestazioni etc.

Cominceremo dal prossimo numero e quindi vi do appuntamento alla fine di Gennaio 2025. Auguri a tutti voi ed ai vostri Cari.

Buon Vento!

Mirco Mascotto