Elafonisos, baia di Simos, promontorio orientale del Peloponneso, dove un anno fa decisi di prendere una volta per tutte in mano la mia serenità senza aspettare che arrivasse da qualcheduno.
La baia in cui ci ritroviamo anche quest’estate è di una bellezza selvaggia che toglie il fiato e i pochi ombrelloni fissi della spiaggia attrezzata diventano insignificanti rispetto al contesto; una volta che ci si trova qui non serve altro, il cuore e l’anima si riempiono completamente. Le aguglie e le occhiate vengono a ispezionare lo scafo di tanto in tanto e noi, in un rituale ormai consolidato, per il solo piacere di vederle accorrere a decine lanciamo in acqua le poche fette rimaste del pane vecchio che loro gradiscono particolarmente.
Sono rimasto solo a bordo ora a controllare la barca, il meltemi generoso di questi giorni arriva di striscio fin qui e le raffiche a 30 nodi mi suggeriscono di prestare attenzione alla posizione nonostante non abbiamo lesinato con i metri di catena, non si sa mai!
Michele e “le girls” sono andati a terra a nuoto per godere di tutta la magnificenza che ci circonda. E’ proprio mentre sono in pozzetto a tagliare l’ultima melanzana per il sugo “Alla Norma” del pranzo che ricevo un messaggio di Fabrizio, il “nostro” Icio, il quale mi chiede di scrivere del nostro viaggio col Talita da Atene a Chioggia per raccontarlo a voi. Non ci ho pensato un attimo, ho preso il mio block-notes ed ho iniziato a riempire le pagine (che piacere scrivere a mano, non lo facevo da tempo!).
La Grecia mi ricorda tantissimo la mia Sicilia, terra a cui appartengono tutti i miei cromosomi e di cui conosco sapori e odori. Entrambe, Sicilia e Grecia, riescono a sconvolgermi ogni volta che vi metto piede, i contrasti che mi colpiscono sono da capogiro e mi lasciano esterrefatto; terre di conquista, amate e odiate dai rispettivi popoli – o, come si dice dalle nostre parti – sono “gioie e dolori”.
Ma torniamo al nostro viaggio, perché di questo si tratta e non certo di una qualsiasi vacanza! Anche quest’anno Michele mi ha chiesto di far parte dell’equipaggio di Talita, un Genesi 43 del 1995 che mi piace tantissimo. Il programma proposto era di incontrarsi ad Atene il 18 agosto per poi dirigere la prua a sud del Peloponneso, quindi verso Zante (Agios Nikolaos per la precisione) a trovare degli amici conosciuti l’anno scorso e infine proseguire il viaggio da lì senza scalo fino a Chioggia perché la barca necessita di lavori e modifiche importanti, quindi meglio averla vicina durante l’inverno. Come avrei potuto rifiutare una simile offerta? Adoro la vela e lo sapete, mi piace il Talita e ve l’ho già detto, in Grecia mi sento a casa e Michele è un bravissimo maestro al quale devo proprio tanto.
Biglietto aereo comprato e poi lunga attesa fino alla fatidica data: si parte!
Atene. Pur non avendo avuto il tempo di visitare la città, la sola idea di trovarmi al Pireo, uno dei porti più antichi e importanti per la storia dell’umanità (nonché porto più grande d’Europa e terzo del mondo), mi ha fatto sentire parte di qualcosa di enormemente affascinante e denso di storie che vorrei conoscere tutte.
L’equipaggio prende possesso del Talita: oltre a me e Michele ci sono “le girls”, Mara e Claudia, quest’ultima alla sua prima esperienza in assoluto in barca a vela. Riempita la cambusa, e con essa anche la pancia, passiamo la prima notte a bordo circondati dalla Storia.
Il mattino seguente salpiamo e subito ci rendiamo conto del traffico impressionante che genera il Pireo, restiamo sbalorditi nel vedere la fila di navi “trasportatutto” in attesa di entrare nel porto per caricare o scaricare chissà che diavolo di cose. Fortunatamente Nisos Aigina non è troppo distante e la baia di Klima che ci accoglie per la nostra prima sera in rada è tranquilla e silenziosa.
La mattina seguente salpiamo l’ancora alla volta di Ydra. Dopo aver navigato a vela passando a sud dell’isola di Poros e sostato per il pranzo nella baia di Spathi raggiungiamo finalmente il porto dell’isola degli asini che purtroppo è stipato all’inverosimile di barche ormeggiate in terza e quarta fila: nonostante siamo attratti dalla bellezza del paesino, non ci possiamo fermare né per la notte né tantomeno per un giretto veloce.
Sulle carte nautiche scoviamo la baia di Kavouri che sembra ben protetta dal Meltemi poiché si trova sulla punta Ovest dell’isola e quindi non ci resta altra scelta che dirigere lì il Talita.
Ancora giù, 60 metri di catena e due lunghe e robuste cime a terra, sta ormai facendo buio e siamo stanchi e affamati. Durante la notte, alle 4 per la precisione, il temuto Nord Est ellenico decide bene di rinfrescare e le raffiche che scavalcano le alture di Ydra picchiano forte sulla nostra baia svegliandoci e costringendoci a mollare l’ormeggio ormai non più sicuro. Eh va bene, si parte col buio, che problema c’è?
Vento in poppa, lenze per il traino ovviamente in acqua, all’alba stiamo puntando dritti Monemvasia, meraviglioso approdo del Peloponneso Orientale.
In pozzetto regna il silenzio finché qualcuno comincia a chiedersi cosa caspita sia quella luce scintillante gialla abbastanza alta sull’acqua al nostro traverso di sinistra. Controlliamo le carte e il gps, ma non troviamo nulla di comparabile e per di più quell’aggeggio non è fermo! Proviamo a dare la colpa al sonno, ma insomma, ci sono tre skipper a bordo, è mai possibile che non capiamo? Alla fine ci viene in soccorso l’aggeggio stesso modificando la propria rotta e passando nella nostra scia a circa un miglio di distanza: è un sommergibile! Nessuno di noi ne aveva mai visto uno e credo che non ne vedremo altri per un bel po’, oppure chissà, il mare è sempre pieno di sorprese.
La città fortificata di Monemvasia (letteralmente: “una sola porta”) alla nostra dritta ci risveglia dal torpore definitivamente per la sua bellezza che si nota soprattutto se vista dal mare. Peccato che il porto moderno sia abbastanza trasandato, sul fondo vecchie catenarie e copertoni si vedono chiaramente dalla delfiniera e la vista dell’abbondante plastica che galleggia sulla superficie dell’acqua fa veramente male al cuore. Le grosse tartarughe stanziali che si nutrono degli scarti delle reti dei piccoli pescherecci non sembrano curarsene granché ma io avrei una gran voglia di raccogliere tutta la monnezza, ammassarla in mezzo alla piazza del paese e piantare un cartello con scritto: “Bestie!”. Faccio veramente fatica a sopportare un tale scempio.
Al tramonto raggiungiamo la città vecchia per poi perderci nei vicoli e, come tutti gli altri turisti, non possiamo fare a meno di scattare decine di foto degli scorci urbani e del panorama che si apre sull’Egeo nell’ora d’oro.
Un aperitivo al Malvasia Café ci ammorbidisce definitivamente il cuore, sia per il buon vino locale, sia perché al tramonto su quella terrazza non si può che stare bene.
Decido di chiamare al telefono Achille, medico salonicchese, nonché amico fraterno da una vita. Lui è stato qui in ferie l’anno scorso e mi può dare un consiglio su dove cenare. Come immaginavo non sbaglia il colpo e ci manda al ristorante Marianthi, l’unico della via principale che non ammicca vistosamente ai turisti e ricorda in tutto e per tutto una bettola d’altri tempi. Veniamo accolti da una gioviale signora che ci delizia il palato suggerendoci i piatti del giorno (non ricordo i nomi, ma se andate li… lasciate fare a lei) e un vino locale perfettamente abbinato alla cena: che spettacolo!!
La mattina successiva il porto è in subbuglio, una propaggine del Meltemi arriva fin qui e chiede il conto a coloro che hanno dato ancora in modo approssimativo, costringendoli a correre ai ripari ripetendo la manovra o tirando lunghi cavi dalla prua a terra. Il Talita è al sicuro e noi diamo volentieri una mano agli altri, anche perché di uscire in mare non se ne parla, aspetteremo che cali un po’.
Nel primo pomeriggio finalmente partiamo puntando a Sud con un vento da Nord Est che ormai ha esaurito il fiato. Man mano che procediamo verso Akra Maleas (Capo Males) Michele mi mette però in guardia sui pericoli di quel capo dove il vento sembra non rispettare certe regole che conosciamo e che quindi va affrontato sul momento.
Infatti, poco prima di accostare a dritta di novanta gradi, vediamo in lontananza la tipica striscia scura di acqua in subbuglio e decidiamo di tenerci a debita distanza dalle rocce; ammainiamo la randa e lasciamo a riva solo il fiocco. Subito dopo, un bel tiro di vento al lasco ci fa accelerare sull’acqua spianata sotto costa per le ultime miglia e ci accompagna, ormai al tramonto, verso la baia di Simos a Elafonisos.
Ancora giù, calumo generoso, cena, chiacchiere sotto le stelle… che ve lo dico a fare? La vita a bordo è allegra e operosa, Claudia se la sta godendo e noi siamo ben contenti che questo impatto così forte non l’abbia traumatizzata, anzi, sembra prenderci gusto ogni giorno di più e il suo volto sta perdendo man mano la tensione accumulata negli ultimi anni vivendo a Londra.
La mattina successiva ci godiamo la baia turchese, io inizio a scrivere con grande gioia e tutto procede per il meglio. Dopo pranzo salpiamo un po’ a malincuore, ma Zante e gli amici ci aspettano!
Prua bussola 260°, il Talita scivola verso ovest. Strada facendo pensiamo a dove ormeggiare per la notte, ma piano piano ci rendiamo conto di aver voglia di altra bellezza e non di un ridosso qualsiasi. Scartiamo l’ipotesi di fermarci a Porto Kagio, a Est del promontorio centrale del Peloponneso, Michele alla fine propone una notturna: andiamo direttamente a Methoni!
Le condizioni sono buone, il mare è calmo e dopo il tramonto anche il vento cala, ma ormai abbiamo deciso e procediamo a motore. Doppiamo il capo Tainaron proprio al crepuscolo e la luce della Golden Hour sembra approvare la nostra scelta regalandoci uno scorcio mozzafiato del grande faro che sorveglia la punta sud. Arriviamo infine a Methoni verso le due di notte, l’ampia baia ci accoglie silenziosa e noi crolliamo in un meritato sonno profondo dopo aver dato fondo all’ancora in questa calda e piacevole notte.
Al nostro risveglio ci troviamo in una cartolina, l’ennesima: una imponente fortezza sul mare ci ricorda che siamo in quella che fu una delle più importanti basi navali della Repubblica di Venezia utilizzata come scalo per i commerci con il Levante e per i pellegrinaggi in Terra Santa. Scendiamo a terra ed essendo ormai ora di pranzo io e Michele, memori dell’esperienza della scorsa estate, ci dirigiamo immediatamente con passo sicuro verso una taverna dove vogliamo assolutamente pranzare.
Oggi il menu propone maiale allo spiedo e ci vediamo costretti a sacrificarci per assaggiarlo. Taverna Thalassa è il suo nome e se passate di li sia che andiate o che torniate da Levante fermatevi e sedetevi per rimpinzarvi, ve lo consiglio spassionatamente.
Dopo la doverosa visita alla fortezza ripartiamo per un breve trasferimento di otto miglia fino al porto di Pylos perché dobbiamo caricare acqua, gasolio e cambusa. Prima di ormeggiare in banchina ci fermiamo a fare un bagno ai faraglioni che fanno da porta alla baia di Navarino (se non conoscete la storia dell’ultima battaglia navale combattuta con imbarcazioni a vela andate a leggerla, è decisamente avvincente se oltretutto si considera che è l’unica battaglia vinta che gli inglesi non commemorano!) e infine arriviamo alla nostra destinazione accolti da un terribile odore di fogna che smorza il nostro entusiasmo per la storia passata della zona. Pazienza, non può andare sempre tutto bene. Siamo eccitati però poiché il giorno successivo ci aspetta una meta ancora più affascinante.
Raccolte le forze necessarie, domenica 25 agosto di buon mattino (per i nostri standard, sia ben inteso) salpiamo alla volta delle Strofadi, un piccolissimo arcipelago di due isole, Arpia e Stamfani, a 30 MN a ovest del Peloponneso e altrettante a sud di Zante. Le Strofadi sono famose per la loro bellezza, per la ricca vegetazione e per il passaggio di più di mille specie di uccelli migratori ogni anno. In passato queste isole erano considerate quelle più fertili della Grecia, erano presenti orti che producevano così tanti frutti da soddisfare i bisogni dei più di cento monaci che vi vivevano.
Le Strofadi rientrano a far parte del parco marino di Zante poiché su queste due piccole isole nidificano più di 1200 specie di uccelli migratori che ogni anno partono dall’Africa e si riposano in questo luogo. Sull’isola maggiore, Stamfani, è presente il monastero della Beatissima Madre di Dio che fu costruito nel 1200 circa sotto richiesta della principessa Irene, figlia dell’imperatore di Nicea che, grazie a queste isolette si salvò dopo un naufragio.
Questo monastero dalle mura imponenti è una fortezza che ha resistito al tempo, alla natura, ed ai pirati che lo assaltarono e saccheggiarono plurime volte, ma adesso presenta i primi segni di cedimento con crepe e muri rovinati dall’usura del tempo e dai terremoti.
Nel passato molti monaci vi vivevano e fra loro vi fu anche San Dionisio, l’odierno protettore dell’isola di Zante, e a ricordo dei tempi lontani vi sono le icone bizantine, candelabri e ricami ed alcune sculture come l’aquila bicipite, simbolo dell’impero bizantino.
L’ultimo monaco che ha vissuto qui come eremita per 28 anni è morto nel 2017 ed ora le isole sono presidiate da un solo guardiano, anch’egli eremita, che abbiamo conosciuto l’anno scorso. Viaggiamo cercando di stringere la bolina che il solito maestrale estivo di queste zone ci propone per raggiungere la nostra leggendaria meta e il Talita leggermente sbandato fa le fusa al mare gentile di stamattina e noi ci godiamo questa bella navigazione silenziosa e costante.
Io nel frattempo penso alle leggende che sono state raccontate e scritte riguardo le Strofadi, mi documento un po’ su internet finché il segnale regge scoprendo che addirittura nel Canto 13 dell’inferno sono citate da Dante Alighieri «Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno, che cacciar de le Strofade i Troiani con tristo annunzio di futuro danno.»
La navigazione si rivela poi meno costante e più lenta del previsto, abbiamo cambiato bordo più volte seguendo il vento, acceso e spento il motore, per poi finalmente dare fondo all’ancora a sud dell’isola piccola (Arpias) proprio sul far della notte. E’ incredibile quanto possa essere lugubre un posto così isolato quando fa buio. Qui ci siamo solo noi e una piccola imbarcazione a motore ormeggiata più sotto costa vicino alla spiaggetta. Le stelle però, visibili in quantità esorbitanti grazie all’assenza di inquinamento luminoso, ci riempiono gli occhi e spazzano via ogni inquietudine lasciando il posto a pensieri che probabilmente ogni persona fa perdendosi nella considerazione della propria piccolezza.
Il mattino seguente, con la dovuta calma, dopo il doveroso tuffo che ci farà vantare dicendo: “io ho fatto il bagno alle Strofadi”, salpiamo e dirigiamo la prua verso nord alla volta di Zante. Teniamo un unico bordo mure a sinistra per tutto il tempo (grazie Maestrale!) con il timone bloccato al centro e giocando solo con la regolazione della randa, così, tanto per fare esercizio. Diamo fondo nel primo pomeriggio a sud di Keri in una baia sovrastata dalle altissime scogliere di calcare bianco che abbiamo puntato per quasi trenta miglia e ci godiamo un altro bagno nonostante i numerosi motoscafi a noleggio carichi di turisti vocianti che arrivano qui non sempre rispettosi del prossimo.
Il mattino seguente nel piccolo paesino di Keri incontriamo Nicolò e Chiara che sono appena atterrati a Zante e hanno prenotato un appartamento qui vicino.
Ci diamo appuntamento per il tardo pomeriggio a Ormos Vroma, loro hanno la macchina e noi raggiungeremo l’unico ridosso di tutta la costa ovest di Zante in barca. Insomma, stasera avremo ospiti a bordo, quale occasione migliore per preparare le crespelle ai funghi? La navigazione a motore data l’assenza di vento e il mare calmo permettono alla dinette del Talita di trasformarsi nella cucina delle grandi occasioni e “le Girls” mi aiutano di buon grado a compiere questa piccola impresa.
Alessandro Savalli
Parte 1 di 2. Segue nel prossimo numero
No Comments
Comments are closed.