Prime di affrontare questo argomento vale la pena accennare brevemente all’evoluzione che, nel tempo, i progetti delle barche hanno subito, con particolare riferimento ai piani velici.

Fino a metà degli anni ’90 la superficie della vela di prua rappresentava almeno il 60% del totale dei metri quadri di tela, quindi la superficie della randa arrivava al massimo al 40%. Negli anni successivi, per ragioni varie che non esamineremo in questa sede, la vela di prua è diventata sempre più piccola e la randa sempre più grande. il rapporto si è invertito ed oggi la superficie della randa rappresenta almeno il 60% del totale. Sulle barche di trent’anni fa il genoa forniva gran parte della spinta, mentre la randa, pur contribuendo alla spinta, serviva soprattutto per dare un assetto corretto alla barca e per renderla più boliniera.

Oggi non è più così: le grandi rande contribuiscono in modo determinante a generare la spinta necessaria per avanzare veloci, meritandosi pienamente il nome inglese (main-sail) ed il nome francese (grand-voile). Inoltre, l’evoluzione dei materiali di costruzione e l’introduzione delle stecche continue dalla balumina all’inferitura (randa full-batten) consentono un controllo molto più preciso della forma della vela, contribuendo ad un notevole incremento della sua efficienza e del suo rendimento.

Le regolazioni fondamentali della randa sono quattro: svergolamento (tramite la scotta ed il vang) , profondità (tramite il tesa-base e la curvatura dell’albero), posizione del grasso (tramite la drizza) , bilanciamento del timone (tramite il trasto). Di questa particolare manovra ho già trattato diffusamente in un articolo pubblicato sul Giornalino del mese di Maggio del 2019, quindi ci concentreremo sulle prime tre regolazioni … (segue nel prossimo numero)

Buon Vento!

Mirco Mascotto, Marzo 2020.